Tutti siamo d’accordo che il futuro del nostro paese passa per il futuro della #scuola. Se ci fermiamo allo status quo, all’attuale condizione della scuola italiana non si può che prendere atto della grave situazione: l’Italia è, nei ranking internazionali, sotto tutti gli altri paesi europei e sviluppati (e, in certi casi, anche dei meno sviluppati) in termini di punteggi PISA per proficiency in matematica e italiano, la qualità dei nostri insegnati sembra essere inferiore e, quindi, la qualità dell’insegnamento nelle scuole italiane non è solo relativamente e mediamente bassa ma anche poco aggiornata rispetto alle richieste del mondo.
Ho letto con interesse il libro “La scuola bloccata” (https://amzn.eu/d/heAWE2K ), di Andrea Gavosto, Direttore della Fondazione Agnelli (https://www.fondazioneagnelli.it/la-fondazione/), che restituisce, nell’asciuttezza di poche pagine ma con l’acribia dei dati e dei riscontri empirici, uno scenario che suscita preoccupazione ma, forse, anche un filo di speranza in chi legge.
I problemi individuati da Andrea Gavosto sono, in sintesi, i seguenti:
- cicli scolastici “disfuzionali” (il passaggio da un ciclo a un altro crea una caduta delle #competenze; sarebbe quindi auspicabile un ciclo comune che portasse lo studente alla soglia della scuola secondaria di secondo grado);
- mancanza di orientamento (le scelte dello studente sono orientate troppo pesantemente dalla famiglia di origine e il passaggio da un ciclo scolastico all’altro è troppo “erratico”);
- gli insegnanti non sono formati né all’inizio della carriera (come criterio d’ingresso) né in itinere (ossia nel corso del lavoro);
- l’assunzione dei docenti non può essere fatta in autonomia dalle scuole, e ciò concorre a creare il mismatch fra domanda di determinati insegnamenti (penso soprattutto alle materie #STEM) e offerta di lavoro.
- la totale assenza di possibilità di carriera dei docenti all’interno dell’istituto scolastico (a cui si potrebbe porre rimedio con ruoli sotto-dirigenziali, ossia livelli intermedi di responsabilità tra i docenti e i dirigenti scolastici, con migliore trattamento economico);
- la durata delle ore di insegnamento (in Italia le ore di scuola dovrebbero essere aumentate con attività pomeridiane che permettano non solo di colmare eventuali lacune e fare attività di supporto, ma anche per rendere più distesa l’attività didattica del mattino).
In questi giorni mia figlia ha deciso la scuola superiore da frequentare, ma la scelta è stata fatta soprattutto dietro consigli aneddotici di conoscenti e la partecipazione agli open day, che sono occasione di marketing scolastico poco informativi ai fini di una scelta consapevole.
Per una scelta consapevole la scuola dovrebbe rendere disponibili alcuni dati:
- esiti degli insegnamenti (punteggi #INVALSI medi dell’istituto per le varie materie);
- percentuale di studenti che si iscrivono all’#università;
- percentuale di studenti che superano il primo anno di università;
- percentuale di laureati;
- curricula dei docenti (anche se il fatto che la scuola non possa reclutare i docenti rappresenta un limite).
#Eduscopio (https://eduscopio.it/) cerca di restituire questi dati. Ma la domanda è: perché le scuole non lo fanno? E, anche, perché i genitori non li richiedono?