Vedo molti post (ma è il convincimento di molti italiani) che riportano dati sulle prestazioni economiche italiane e che, in soldoni, vorrebbero convincerci che l’Italia, fino agli anni Ottanta e Novanta, era un paese economicamente di successo, che il suo sviluppo stava convergendo verso quello dei paesi sviluppati, che, in definitiva, tutto il male che è poi accaduto è stato dovuto a “cause esogene”. Queste sono state identificate nella nostra adesione all’Unione Europea e nel nostro ingresso nella zona euro.
Come detto, questo modo di vedere le cose è assai diffuso, non soltanto tra la gente comune (che indulge facilmente al “si stava meglio ai miei tempi”), ma anche (e purtroppo) tra sedicenti economisti italiani, soprattutto (ma non solo) di destra (Bagnai e Borghi, per esempio. Anche se definire Borghi un economista mi sembra azzardato). Ma la realtà del declino italiano è assai differente e assai più banale. Non c’è stata nessuna spectre, nessuna eminenza grigia, nessun ordito, nessuna “intelligenza col nemico”, ma la nostra secolare indigenza produttiva e culturale e una classe politica (la Democrazia Cristiana, ma anche il Partito Socialista Italiano, il Partito Comunista Italiano, e gli altri) che ha occupato le istituzioni creando, negli anni, enormi economie parassitarie che hanno strangolato, nel tempo, le economie sane del Paese.
Ho letto recentemente “Capitalismo assistenziale” (https://www.amazon.it/capitalismo…/dp/B00GYRZSWS), libro pubblicato nel 1976, di Giorgio Galli e Alessandra Nannei, che è una testimonianza di un declino che proprio in quegli anni avrebbe avuto i prodromi. Alle crisi petrolifere degli anni Settanta la classe politica italiana (la cosiddetta prima repubblica) ha risposto a colpi di inflazione selvaggia e deprezzamento della lira, nonché facendo ricorso all’assunzione in massa di milioni di persone nel pubblico impiego, al foraggiamento di industrie private e pubbliche che non creavano profitti ma distruggevano risorse fiscali (di per sé scarse), all’utilizzo farisaico del termine “austerità”, quando aveva in realtà proceduto all’ingentissimo trasferimento di risorse dai produttivi (lavoratori, operai, aziende sane) ai parassiti (élite burocratica-amministrativa dello Stato, dipendenti pubblici, dirigenti di imprese statali, parastatali o private conniventi con lo Stato, élite economico-speculativa). In quegli anni, ciò che viene chiamato nel libro “lavoro improduttivo” prese a crescere così tanto da aver poi posto le basi per una compromissione duratura delle stesse possibilità di sviluppo economico e sociale d’Italia.
Oggi l’Italia si trova quasi al termine di questo percorso di sottosviluppo: ciò che agli occhi dei politici del secondo dopoguerra sembrò una crescita economica e sociale inarrestabile in effetti si interruppe nel lontano 1963, allorché il Paese divenne ostaggio di una élite politica che impoverì il Paese delle risorse accumulate durante il boom. Da quel momento la classe politica ha instaurato coi cittadini un rapporto basato sulla reciproca deresponsabilizzazione: tu mi eleggi e io ti permetto di andare in pensione a 35 anni (#babypensioni); tu mi eleggi e io ti do anticipi di pensionamento (#Quota100); tu mi eleggi e io ti do un trattamento fiscale di favore (#flattax) ecc. Il cittadino italiano è stato degradato al rango di postulante e parassita che attende pazientemente le elargizioni del signorotto politico di turno. Come dico in “Sovranismo – un destino idiota” – https://amzn.eu/d/3bQHB8r – nei decenni è stata deliberatamente instillata nella mente degli italiani una morale di parassitismo anziché un afflato all’autonomia.