In questi giorni ho dovuto recarmi più volte all’Ospedale pediatrico Gaslini di Genova. Mio figlio, per sfortuna, si era procurato una rottura scomposta dell’omero ed è stato sottoposto a due interventi chirurgici nell’arco di due giorni. Tutto bene. Come molti sanno, il Gaslini è un punto di riferimento nazionale per la medicina e la chirurgia pediatrica: qui arrivano italiani da tutta Italia. Infatti, molte sono le persone che dalla Sicilia, la Campania e la Calabria si recano nel nosocomio pediatrico genovese per avere cure e trattamenti per i loro figli che non riescono ad avere nella loro regione d’origine.
Qualcuno potrebbe quindi alzare alti ali contro le disparità regionali: lo Stato, infatti, è tenuto a garantire su tutto il territorio nazionale equivalenti standard qualitativi e quantitativi, ma a parte questa mera proclamazione di princìpi sappiamo bene che i servizi a Reggio Calabria non sono equivalenti a quelli a Bolzano. Tutta colpa dello Stato, allora?
Non basta proclamare princìpi per renderli effettivi. L’Italia in questi ultimi trent’anni ha accumulato un gap di crescita economica rispetto a paesi omologhi nell’ordine di decine di punti percentuali di crescita del PIL (rispetto agli Stati Uniti di oltre il 50%). Questo perché lo Stato non ha speso abbastanza? No, la spesa pubblica italiana rispetto al PIL ma anche in termini assoluti pro-capite è tra le più alte al mondo. L’urgenza è permettere al Paese di fare crescita economica.
Se non verranno fatte le giuste e sacrosante liberalizzazioni nel settore di servizi e professioni, e mi riferisco a farmacie, taxi, concessionari di beni pubblici, e molti altri, se non verranno ridotti gli oneri burocratici e fiscali a carico di aziende e cittadini, se si smetterà una buona volta di dare aiuti alle piccole aziende improduttive e italiane con favori clientelari come la flat tax, se non si migliorerà il capitale sociale, l’istruzione media, il numero di laureati e di dottorati, se non si permetterà, in poche parole, ai giovani di dare il loro contributo, se non si avrà meritocrazia nelle aziende e negli enti pubblici, questo Paese è destinato a non avere più servizi pubblici, a non avere un sistema pensionistico a ripartizione, a declinare più o meno velocemente nel gruppo di Paesi letteralmente poveri.
Ma cosa trattiene i politici italiani dal fare queste riforme? In fondo, una cosa, essenzialmente: la ricchezza relativa della generazione dei babyboomer, che i nostri politici, in questi ultimi trent’anni, si sono incaricati di conservare costi quel che costi. Anche se il costo è ed è stato letteralmente il futuro dei giovani e d’Italia.