Voce tuono fulgore
ma silenzio non il clangore
metallico dei tuoi eserciti schierati –
il residuo ferrigno lisciviato
dalle piogge è il sangue
di chi credé nel Dio supplice
che svuotatosi della sua divinità
acconsentì a ridursi a uomo
inumandosi nella carne
giacendo coi morti.
Quella carne che presentiamo
già colliquata in vita
il cui lezzo ci fa inorridire
su queste ossa ancora viva
la stessa carne adorna
dei bei corpi
di donne e uomini
di bimbi festanti
nella festa della vita.
Niente, nulla vale
il dolore irredento –
e non basta alla salvezza
il presentimento di Dio
ma la personale sua conoscenza.
Voce tuono fulgore
ma scandalo non il furore
adamantino di chi ti annunciò –
la tepidezza è inconseguente
al tuo orizzonte di radiosa salvezza
vituperio delle genti
scherno imperituro del mondo
dall’Areopago all’empiria –
ancora e ancora ci sarà detto
Su questo punto ti sentiremo un’altra volta –
al potente tuo Thalita kumi
proporranno una scrollata di spalle
gli adoratori del nulla.
Esiliato è così dal mondo
il Cristo e noi con Lui –
nel disegno del padre
fallimento e gloria
oscuramente coincidono.
E nella sequela che è vita
da stranieri abitando il mondo
attraversando randagi una città
immagine dell’oltreumano
come frenetici scorgiamo segni sicuri
delle promesse cose ultime –
che la giustizia di Dio deflagri
minutando maggesi e terre incolte
separando cosa da cosa, uomo da uomo
che sia strage tra gli iniqui
i conniventi e i tiepidi
e che il piccolo resto del popolo di Dio
venga risparmiato all’ultimo momento
già sbrindellato e smembrato
salvato a stento dalla gola del leone.